Cari lettori,
è in pomeriggi piovosi come questo che il desiderio di rifugiarmi tra le pag. di casa Holly Girls torna a farsi vivo, spingendomi a cercare quel senso di condivisione che tanto amo provare <3
Oggi decido di pubblicare un breve racconto ispirato ad uno degli argomenti più scottanti del momento -e, tengo a ribadirlo, NON solo del momento... - , ovvero l'inaccettabile violenza sulle donne.
Che adesso se ne parli in ogni dove, in tutte le salse e senza limiti di fasce orarie, è sì un passo avanti nel cercare di mettere a nudo la realtà di cui facciamo parte, ma è bene essere consapevoli che questo non sia un periodo circoscritto o particolarmente acceso riguardo la tematica di fondo: da sempre, e diciamolo a voce alta... da SEMPRE la donna è oggetto di pregiudizio, discriminazione, emarginazione da una serie di ruoli importanti, sottomissione e, nei peggiori dei casi, schiavitù.
Non mi riferisco ad una schiavitù prettamente materiale, bensì morale... di pensiero e volontà.
Chi mi conosce bene sa quanto l'argomento mi stia a cuore e che, probabilmente, se fossi nata nei primi anni in cui la corrente del Femminismo iniziò a far sentire la propria forza sfidando intere generazioni di soprusi, io per prima sarei stata in fila per lanciare il mio grido di libertà.
Riflessioni, queste, non dettate dall'essere semplicemente donna, piuttosto da una sete di giustizia e riscatto capaci di non rendere vane le umiliazioni di un passato che diviene presente... ogni qualvolta una donna continua ad essere vittima di chi -a parer mio- non è degno d'essere chiamato uomo.
Preferisco concludere qui questa mia serie di pensieri destinati a potersi prolungare ancora molto, dando invece modo alla mia "penna" di espimersi come desidera.
Prima di lasciarvi al mio racconto dal titolo "Sorridi... o muori" , riporto una frase del film "La Papessa" , ritrasmesso in TV proprio questo scorso Venerdì:
Bisogna rimanere fermi nelle proprie convinzioni, non importa a quale prezzo...
Sorridi... o muori!
La zuppa bolle in
pentola, il pollo al curry si mantiene caldo in forno e il dessert è già
pronto da due ore. I biscotti per il tè li avevo preparati ieri sera, un modo
come un altro per smaltire la tensione accumulata durante il giorno e tenere le
mani occupate ad impastare.
Così, non appena il campanello
trilla per avvisarmi che la signora Miranda è venuta a farci visita come ogni
giovedì pomeriggio, posso essere soddisfatta del vassoio ricolmo di ciambelline
al cioccolato che a breve intratterranno le nostre bocche durante la
chiacchierata in soggiorno.
Prima di ricevere
l’anziana ospite, lancio attorno a me un’occhiata furtiva ma attenta ad ogni
particolare: tutto è perfettamente in ordine, dal pavimento incerato ai
girasoli che ho sistemato qua e là per dare un po’ di colore alla casa…e alla
mia vita.
«Oh, Rossella! Ma come
fai a gestire tutto in maniera tanto impeccabile? Sei un vero portento, vorrei
proprio conoscere il tuo segreto!».
È il saluto rituale con
cui la mia vicina dà il via alla sua entrata in scena. Senza mai ricevere da me
una risposta alla sua domanda, ovviamente. Perché il mio è un segreto
inconfessabile. Spietato. E manderebbe a monte l’intero palcoscenico di
menzogne che ho imparato a costruirmi addosso giorno dopo giorno.
Sorrido amabilmente ad
ogni sciocchezza che la donna blatera a perdifiato, porgendole di tanto in
tanto un dolcetto o versandole un altro po’ di tè nella tazza; la noia inizia a
farsi sentire, ma sopporterei ben volentieri questa finta tregua appena scesa
tra le mura domestiche, se questo significasse poter avere qualche ora in più
di serenità.
Finché non lo sento
arrivare. È lui. I suoi passi rimbombano sul parquet delle scale come fossero
boati di un vulcano in procinto di esplodere. L’agre profumo del dopobarba che
è solito usare pizzica le mie narici, e una fredda goccia di sudore si va a
formare sul mio collo per poi scendere lungo la schiena a procurarmi un
brivido.
Allarga le labbra in un
ampio sorriso che infonde buonumore, sicurezza. Nessuno potrebbe mai credere
che dietro questo suo ghigno distorto si nasconda la maschera del silenzio.
Dell’umiliazione. Della violenza. Della morte.
Mio marito si unisce al
nostro tavolo e finge di volermi aiutare, mostrando una falsa attenzione nei
miei riguardi che rischia di farmi vomitare da un momento all’altro. Mi porge
una ciambella quasi a volermi imboccare, ammiccando a Miranda con fare complice
e divertito, palesando un bene a me rivolto come fosse il migliore dei mariti
che ogni donna potrebbe mai desiderare.
Dopo circa dieci minuti
di evidente imbarazzo da parte dell’anziana, questa si alza accomiatandosi
timidamente e farfugliando una scusa per andar via e lasciarci da soli. Forse
pensando di farci cosa gradita...non certo immaginando quel che il suo saluto
possa significare per me: l’inizio di una nuova lotta alla sopravvivenza. Il
via al macabro gioco di sangue che tra pochi istanti prenderà vita qui, proprio
qui, tra le mura della mia casa linda e profumata.
Lui -il mostro-
l’accompagna all’uscita e non smette di salutarla finché non la vede svanire
dietro l’angolo.
Poi chiude a chiave la porta, e resta di spalle per un attimo.
Respira a fondo, un respiro tutt’un tratto divenuto pesante, affannato. È lo
sbuffo della bestia che sta per svegliarsi, il ringhio dell’assassino che
improvvisamente si gira a guardarmi dritto negli occhi, pronto a richiedere in
conto la mia carne.
Si cambia scena.
Non capirò mai perché,
nonostante ogni volta cerchi disperatamente di sfuggire alla sua presa, per lui
sia sempre così facile raggiungermi e poter iniziare a fare di me ciò che
vuole. La cera con la quale ho da poco lucidato il pavimento mi è nemica, e
continuo a scivolare ad ogni tentativo di rialzarmi. I colpi volano tra
l’addome e la testa, finché il sapore del sangue mi brucia la lingua.
«Sorridi, maledetta! Ti
ho detto di sorridere! Perché mi costringi a trattarti così, eh? Perché?!».
La sua voce e la follia
delle parole che grida lacerano qualsiasi mia speranza di poterlo fermare. Il
macabro sorriso che cerca di plasmare sul mio volto è morto già da molti,
troppi anni. Ma questo, lui non vuole…non può accettarlo.
Quando il dolore inizia
a divenire sordo e il mio corpo cerca di difendersi in quella sorta di sonno della
coscienza che potrebbe permettere al mio carnefice di finirmi una volta per
tutte, un suono lontano batte a intermittenza nella mia testa, scuotendo i
nervi come fossero corde di uno strumento ridotto in mille pezzi, eppure ancora
capaci di vibrare dando segno della loro esistenza.
Le sirene della polizia
appena giunta echeggiano per tutto l’isolato, richiamando i vicini alla realtà
che li circonda e che non hanno mai
mancato d’ignorare con scrupolosa attenzione. Il frastuono irrompe tra i calci
del mostro che ancora volano sulla mia schiena, dritti come lance infuocate sul
mio ventre.
Non è il risveglio da
un terrificante incubo, no. È, piuttosto, una forza generatrice che mi afferra
per i capelli e mi trascina con prepotenza verso i bordi del baratro dal quale
ero caduta. È la luce abbagliante dei neon della mia cucina che mi ferisce gli
occhi, quando cerco di riaprirli a stento per via del gonfiore che li ha
deformati. È lo stridore di una ferita che si apre per mai più richiudersi,
destinata a rimanere lì, ben visibile ai ricordi e allo scorrere del tempo…per
non dimenticare.
D’un tratto sento il
mio corpo farsi più leggero, liberato dal peso del mio aguzzino e appena
accarezzato dalle mani nodose di lei, Miranda:
«È tutto passato,
piccola mia. Perdonami…perdonami per non aver compreso prima ciò che stava
accadendo chissà da quanto…»
E, così dicendo,
l’anziana donna scopre il collo avvizzito dalle rughe e attraversato, sul lato
destro, da una profonda e vecchia cicatrice.
«Avrei dovuto capirlo».
Finisce di dire, inghiottendo un pianto che oramai deve conoscere bene.
Senza rispondere con
parole che non riuscirebbero a colmare gli abissi di dolore che ci accomunano,
le porgo una mano e stringo la sua in una presa forte e decisa, piena di quella
voglia di vivere che improvvisamente tutta m’investe e mi consuma, ardendo di
luce e intensità propria.
Ma è nell’attimo in cui
i miei occhi si posano in quelli che un tempo erano appartenuti a mio marito,
all’uomo nel quale avevo riposto la mia intera felicità ridotta oggi in polvere
di rimpianti e solitudine, che riesco a ritrovare me stessa: sì, è dalle sue
iridi che strappo la mia immagine e me ne riapproprio, proprio come si farebbe
con un vestito perso per caso e finalmente ritrovato.
«E adesso…sorridi». Gli
dico, un istante prima che lo portino via. E riesco a dirglielo con un
sorriso…questa volta, finalmente, sincero.
4 commenti
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaSono stata costretta a dover cancellare un commento rilasciato da un utente -guarda caso, anonimo- per via dei toni da questo utilizzati.
RispondiEliminaConsigli e critiche sono sempre utili, purché fatti in modo costruttivo e non a scopo unicamente dispregiativo. Grazie
Beh lo avevo scritto io, semplicemente non accetti le critiche che ti vengono fatte. E gli scrittori dovrebbero essere democratici e aperti al confronto piuttosto che cancellare commenti che non apprezzano come fai tu. Almeno il mio ti è servito a correggere "cherry" (che in inglese significa "ciliegia") con curry. Questo è un commento utile, spero che non lo cancellerai e accetterai il confronto :)
RispondiEliminaMartina.
Cara Martina,
RispondiEliminanon avrei motivo di cancellare questo messag,.semplicemente perché scritto senza forzature mirate a voler offendere il mio piacere per la scrittura.
Non ho mai nascosto la mia scarsa dimestichezza con l'inglese (come vedi il tuo consiglio mi è stato utile, grazie!) , ma non credo affatto che la conoscienza di una lingua straniera possa essere utilizzata come metro di giudizio per qualsiasi scrittore -di qualsivoglia nazionalità-.
Colgo l'occasione per rispondere ad una delle considerazioni da te espresse nel commento più sopra cancellato: questo blog non rappresenta una testata giornalistica, bensì un angolo di rete dove poter condividere i miei pensieri, qualche articolo di vario tema, le notizie riguardo i miei romanzi in uscita e tutto ciò che ruota attorno ad essi.
Se dunque decido di scrivere un banale racconto che abbia di base una qualsiasi tematica, mi ritengo libera di farlo e non credo possa essere giudicata per questo.
Le testimonianze vere, per quanto siano utili e da effetto, puoi trovarle altrove :)
Per quanto riguarda apertura al confronto e democrazia, mi spiace doverti contraddire: se posso trovare un minuscolo punto a mio favore, è proprio la personale capacità di accettare le varie critiche ricevute, sia in passato che oggi, senza alcuna replica o voglia di creare spirito di polemica -che, a dirla tutta, detesto!-.
Grazie per essere passata di qui! ;)
"Lo stare insieme è nello stesso tempo per noi essere liberi come nella solitudine, essere contenti come in compagnia."
Emily Brontë