Chiacchierata all’insegna del distopico in un articolo a quattro mani con la vostra Desy e Glinda Izabel del noto Atelier dei Libri.
Buona lettura! ^^
Desy
La giornata serena e apparentemente felice di oggi, mi spinge a parlare di un genere letterario che in questi ultimi tempi mi ha non poco appassionata e coinvolta. Vi chiederete perché, più sopra, abbia usato il termine “apparentemente”…ebbene, forse perché l’idea che non tutto in realtà sia come sembra, inizia a dipanarsi sempre con maggiore intensità nelle nostre menti? Una “moda”, questa, che da qualche tempo trova il suo spazio anche nella letteratura e, di conseguenza, sul grande schermo.
Parlo del Distopico, ovvero quel che si potrebbe definire la pagina nera dell’Utopia. Il suo contrario. Dove l’immaginario viaggia verso un futuro distorto e pieno di perché, e prende forma la metafora di una realtà scintillante e ordinata che entra in contrasto con il bagliore di una “perfezione” in verità inesistente.
La distopia di un futuro tanto tragico e complesso, così come si presenta nei romanzi di genere distopico del momento, non si allontana invero da un’intera Storia gestita dalle regole della società e del buon senso, troppo spesso in contrasto con i veri desideri e gli alti ideali che hanno spinto gli animi dei più coraggiosi. Di chi, infatti, decide di “non andarsene docile”, prendendo come esempio i versi della poesia -firmata da un tormentato quanto geniale Dylan Thomas- continuamente citati in uno dei romanzi di culto che fanno da portabandiera al mondo letterario del Distopico: Matched di Ally Condie. Un romanzo tra le cui pagine esiste una Società schematica e segretamente tirannica che decide per ognuno cosa sia bene fare: il cibo, l’abbigliamento, gli hobby, le 100 canzoni d’ascoltare, le 100 poesie da leggere, i 100 quadri da poter guardare, il lavoro, l’amore, la morte. Come reagiremmo se, improvvisamente, il nostro intero sapere si dovesse ridurre a 100 titoli per ogni tassello della nostra conoscenza? Personalmente… preferisco non immaginarlo neanche! Ma se proprio vogliamo “assaporare” l’amaro retroscena di un simile futuro, consiglio di addentrarvi in questa lettura dai toni poetici e ribelli.
Come accennato prima, il Distopico ha subito sortito un effetto di clamore e interesse tale da portare direttamente la storia dal libro al cinema. Tra i casi più eclatanti troviamo The Tomorrow Series – Il domani che verrà, di John Marsden: dove in un futuro non troppo lontano dal nostro, il mondo si ritroverà soggiogato da una misteriosa e prepotente forza non identificata, e la vita sarà una perenne lotta contro uno scenario di terrore e inaudita violenza. Immaginate di dovervi ritrovare dalla lieta atmosfera di un pic-nic, al fragore delle bombe e al peso dell’artiglieria sulla pelle… ecco, il succo è quello.
Tra le pagine di queste storie distorte e affascinanti, vibrano grandi emozioni -fortemente contrastanti tra loro-, profonde riflessioni che ci spingono a guardare il mondo circostante attraverso uno specchio dove il nostro ruolo appare sempre più quello di allodole in cerca di salvezza.
Glinda
Be’ Desy, parlando degli Hunger Games con me tocchi un nervo scoperto, essendo forse la serie che più mi ha emozionato e scosso nel profondo. La letteratura Distopica è per me croce e delizia, fonte di grandi ispirazioni e anche di enormi disperazioni: ne sono affascinata come lo sarei dal canto di una sirena assassina.
Se è difficile immaginare un ipotetico futuro dove dei giochi omicidi in cui giovani combattenti lottano contro la morte vengono attesi come l’evento dell’anno? Be’, forse prima di leggere la trilogia della Collins un mondo simile sarebbe potuto apparire inimmaginabile, ma dopo aver conosciuto La Ragazza in Fiamme tutto sembra dolorosamente possibile.
A mio parere la forza della Distopia sta nella capacità dell’autore di imprimere alla propria storia la giusta dose di oppressione e controllo. E’ dal dolore e dalla mancanza di libertà che sboccia il seme della ribellione, sia nel cuore dei protagonisti che in quello dei lettori. Non a caso il genere Distopico è entrato di prepotenza nelle preferenze dei lettori moderni, giovani e meno giovani, sollevando nuove questioni etiche e morali più attuali che mai.
Nella bellissima serie di Mary E. Pearson, The Chronicles of Jenna Fox, viene egregiamente affrontato il difficile tema della biomeccanica e dell’evoluzione scientifica, scatenando sentimenti di ogni sorta. Jenna Fox non è solo un’adolescente con problemi di memoria causati da un fatale incidente, ma anche e soprattutto un esperimento scientifico che sfida le leggi della natura. Immaginate un futuro in cui è possibile scansionare le menti umane come se fossero dei computer e ricreare ogni organo in laboratorio senza alcuna difficoltà: quale sarebbe il limite? E’ difficile non farsi coinvolgere da temi che non sembrano poi così lontani dal nostro presente, come lo è non immaginare le conseguenze di una scoperta che potrebbe guarire ogni male e scongiurare persino la morte. Chi può essere considerato effettivamente umano, in un universo popolato anche da androidi e uomini sintetici? Può qualcuno nelle cui vene non scorre sangue, ma BioGel, provare sentimenti, emozionarsi e soffrire al punto di voler cambiare il mondo?
Domande, queste, a cui è difficile rispondere, ma che anche in Cinder di Marissa Meyer vengono spesso proposte. Prendete Cinder, una cenerentola del futuro dotata di componenti meccanici, affiancatela a un poco aggraziato robottino con il pallino della moda di nome Iko e avrete la favola distopica perfetta. Mentre i cyborg come Cinder, pur essendo in parte umani, vengono usati per terribili esperimenti genetici al fine di salvare l’umanità dalla nuova peste, i robot come Iko vengono spenti e rottamati senza appello a piacimento dei padroni. Sfido chiunque a non affezionarsi di più a un ammasso di ferraglia, quando l’altra faccia della medaglia è rappresentata da una popolazione di esseri umani freddi e calcolatori che si nutrono di razzismo e classismo. Se ci fosse da scegliere, nel prossimo futuro, io saprei già da che parte stare: la resistenza sarebbe la mia unica famiglia.
E lotterei come lottano gli eroi dei romanzi distopici. Lotterei per la libertà, per l’uguaglianza, per abbattere i muri sociali.
E poi, ovviamente, lotterei per l’amore. Quell’amore che in Delirium di Lauren Oliver si è trasformato in una malattia da debellare con una speciale procedura. Una volta compiuti diciassette anni il governo libera le menti umane dall’Amor Deliria Nervosa, meglio conosciuta come il Delirium: l’apparente fonte di ogni male. Solo dopo la procedura un individuo potrà dirsi sano di mente, sterilizzato da quei pensieri malati e distruttivi che accompagnano l’amore, patologia mortale che avrebbe portato il nostro mondo alla distruzione totale. Vi lascio solo immaginare ciò che si cela dietro la tanto sponsorizzata procedura e vi assicuro che il destino riservato a chi si ammala d’amore non vorreste neanche ipotizzarlo. Eppure c'è’ sempre qualcuno che lotta contro il sistema, che rischia la vita per una carezza rubata, per un brivido lungo la schiena e un sentimento che potrebbe distruggere ogni cosa.
Ribellione, sete di rivalsa e bisogno di affermazione dei propri diritti primordiali, rendono irresistibile il genere distopico; perché in fondo la vita è fatta di scelte dolorose, di piccoli gesti indimenticabili che, se compiuti in massa, possono davvero cambiare il mondo.
The end
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"Lo stare insieme è nello stesso tempo per noi essere liberi come nella solitudine, essere contenti come in compagnia."
Emily Brontë